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Flavio R.G. Mela

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Storia. La "Giudecca" del cuore di Sicilia. Cronache ebraiche a Piazza Armerina.

Il 31 Marzo 1492, con l’emanazione di un editto, Ferdinando il Cattolico, marito di Isabella d'Aragona e re di Castiglia, Aragona, Catalogna, Sicilia e Sardegna, cacciò, dai regni sottoposti al suo potere, tutti gli Ebrei che non volevano ricevere il battesimo. Questo avvenne a causa dell’istituzione dell’Inquisizione come istituto ecclesiastico retto dai vescovi delle rispettive diocesi. Ma non tardò molto che Ferdinando la trasformò di competenza del sovrano. Questo istituto, oltre a motivazioni religiose e politiche, possedeva soprattutto giustificazioni di carattere economico, in quanto le confische dei beni degli eretici sarebbero andate a finire nelle casse reali. Durante il regno di Ferdinando il Cattolico, in Sicilia occupava la carica di vicerè don Ferdinando di Acugna, un castigliano di nascita, ancora giovane di età ma già esperto in discipline di guerra. La notizia dell’editto arrivò come un fulmine, non solo per la comunità ebraica dell’Isola, ma per l’intera Isola. Il vicerè d’Acugna non condivideva la decisione del re, infatti tardò a fare pubblicare la sua esecuzione. Poi, non potendone fare a meno, decise di pubblicarla il 24 Maggio dello stesso anno.
Immediata
mente, i Cristiani che avevano crediti nei confronti degli Ebrei, chiesero l’adempimento delle obbligazioni contratte, costringendoli a barattare con le merci dei loro negozi o con le proprie case. Così, il vicerè emanò un’ordinanza il 9 Giugno con la quale chiedeva la sospensione di ogni procedura giuridica contro gli Ebrei qualora non adempissero pienamente i loro debiti, e imponeva ai Proti e Maggiorenti di non scomunicare coloro che osassero cambiare, nascondere o vendere a basso prezzo i beni di qualsiasi natura, secondo il loro rito.
Il 20 Giugno 1492 si riunivano, sotto la presidenza del Gran Giustiziere Tommaso Moncada, conte di Adernò, i giudici della Magna Curia e i Maestri Razionali del Real Patrimonio con altri componenti del Sacro Regio Consiglio. Tale seduta servì a far notare a sua Maestà che, essendo dei servitori del re e stimando gli interessi del regno, e quindi della Corona, non avrebbero esitato a riconoscere la pericolosità della presenza degli Ebrei nell’Isola e sollecitare vigorose misure.
Ma si sottolineò anche che quella parte di sudditi, per consumo necessario alla vita, spendeva ogni anno in Sicilia circa 1.000.000 di fiorini, una somma che aiutava tantissimo l’economia siciliana. Quindi una loro assenza avrebbe comportato un dissesto economico all’Isola (Tante industrie sarebbero venute meno, soprattutto quelle relative alla manifattura del ferro). Tra l'altro gli ebrei erano gli unici con cui i Cristiani avevano rapporti commerciali, dal momento che la religione cristiana imponeva di evitare scambi commerciali a fini di lucro tra gli stessi Cristiani.
Il Monarca Ferdinando, di fronte a tale situazione, aveva trovato un rimedio alternativo, proposto dai vescovi: tutti gli Ebrei che si fossero convertiti al cattolicesimo, sarebbero stati sottratti all’esilio, ma sarebbero rimasti ugualmente obbligati a lasciare i loro beni se non fossero stati in condizione di pagare all’erario almeno il 40%, e il 5% agli ufficiali regi incaricati della liquidazione.
A Piazza gli Ebrei vivevano liberamente, sebbene costretti a portare una pezzuola rossa sugli abiti. La "Giudecca", ovvero il quartiere ebraico della cittadina, attivo e prosperoso fin dai primi anni del XV secolo, si presume che possa essere stata situata nei pressi dell'attuale chiesa di Santa Lucia, nel quartiere storico dei Canali. Anzi, è confermata l'ipotesi che lo stesso edificio cristiano fosse, in antichità, una vera e propria sinagoga.
Una testimonianza più chiara riguardante la Giudecca di Piazza è data dai alcuni documenti datati dopo l’anno 1468. Il primo di essi del 9 Marzo 1469, è l’ordine del vicerè Durrea al Proto della nostra Giudecca di mandare a Palermo uno o due delegati per ricevere istruzioni su materie di “regio servizio”: in effetti si trattava, come è detto in un successivo documento, di raccogliere i fondi per pagare il donativo al re. La Giudecca di Piazza era tassata per 8 onze, laddove nel 1464 era stata tassata per appena 3 onze, 15 tarì e 7 grani.
Nell'anno del decreto di re Ferdinando con il quale obbligava una sola fede religiosa nei suoi regni e cioè quella cristiana, nei giorni 6 e 7 Luglio e poi 4 Agosto 1492, il vicerè, scrivendo ai vescovi, alle Giudecche, ai Capitani ed ai Giurati delle Città e Terre demaniali, impartiva disposizioni per il riconoscimento ed il trattamento degli Ebrei che si convertivano al Cristianesimo. Questi, segnalati dai vescovi, venivano trattati come cristiani, reintegrati nei beni e, quindi, non espulsi. Ma quali le condizioni riservate a coloro che sono rimasti nella fede dei Padri?
Come avviene in tali circostanze, non mancarono allora degli approfittatori, gli affaristi e i ladri che senza scrupoli si adoperarono per trarre guadagni alle spalle di gente indifesa e impaurita.
Il vicerè venne informato e fu costretto ad inviare in tutte le Terre di Sicilia speciali Commissari per indagare sull’onestà e sul comportamento dei regi ufficiali.
Nella città di Piazza Armerina giunse per tale incarico il Commissario Gaspare de Riera e poi un tale Matteo Purcello, con il preciso compito di vendere i beni requisiti agli Ebrei e di depositare il ricavato presso la R. Tesoreria in Messina.
In data 31 Ottobre il vicerè inviò una lettera al capitano, ai Giudici, ai Giurati ed al Secreto di Piazza per avvertirli che re Ferdinando aveva concesso una proroga di 40 giorni alla espulsione di quegli Ebrei che non erano ancora riusciti a pagare i loro debiti verso la R. Curia.
Ad espulsione avvenuta, parlano di un totale pari a 500 onze, 29 tarì e 20 grani. ovvero 100 milioni di lire degli anni ’90, prescindendo dalla differenza del potere di acquisto tra la moneta del XV secolo e quella odierna.
Della vicenda ebraica di Piazza Armerina, come detto, permane solamente la parte di un edificio attorno al quale fu ricostruita l'attuale chiesa di Santa Lucia e probabilmente proprio dell'antica sinagoga. Inoltre, nei pressi del portone di ingresso laterale, è possibile scorgere nella pietra delle scritte che non è dato sapere a cosa si riferiscano. Per il resto non è rimasto nulla. La chiesetta attuale è circodata dalle case e, in maniera del tutto amatoriale, si è provato a ricostruire o a mostrare la stessa senza gli edifici attuali intorno.
Per il 13 dicembre si festeggia nel quartiere Santa Lucia e il fatto che la chiesa sia propriamente consacrata a tale santa fa insospettire. Nel periodo che precede il solstizio d'inverno la tradizione ebraica vuole che si svolga la famosa festa di Hanukkah, o"festa delle luci", con la quale si festeggia l'episodio storico che vuole la consacrazione di un nuovo altare, all'interno del tempio di Gerusalemme, dopo la donata libertà, data agli ebrei dai Greci (Zc 4,6). Tale festa, per il simbolo che utilizza, ovvero la luce (Molte tradizioni popolari acquistano nel loro bagaglio folklorico feste legate alla luce proprio in tale periodo invernale) è decisamente vicina alla festa di Santa Lucia, che della "luce", intesa anche e soprattutto nel suo significato spirituale, è patrona. Non è un caso che la festa ebraica, per esempio a Siracusa, durava otto giorni come i festeggiamenti in onore della Santa cristiana.

Flavio Mela

1 commento:

Cristian Orlando ha detto...

Un'ulteriore testimonianza culturale di un passato da ricordare. Complimenti!

Cristian Orlando