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Flavio R.G. Mela

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Oltre il centro Sicilia. Storia. La Ducea Nelson. Un progetto di turismo culturale a Bronte

Direttamente da Bronte, cittadina del circondario etneo, famosissima in tutto il mondo per il pregiato pistacchio, arriva al “Veltro” un importante articolo su uno dei posti più suggestivi della Sicilia ovvero la Ducea Nelson. A scriverlo è il dott. Placido Paladino, responsabile dell’ associazione Onlus “Ducea di Nelson” che ha sede in via Umberto 373, Bronte. Questa associazione nasce con l’intento di promuovere e valorizzare il territorio corrispondente al feudo donato da Ferdinando III ad Orazio Nelson nel 1799, corrispondente ai territori dei comuni di Bronte e Maniace, ovvero l’ex Ducea di Nelson. L’associazione si rivolge alle scuole, alle associazioni culturali ed a tutti i turisti desiderosi di fare un viaggio nella Ducea di Nelson per una singolare, quanto interessante, immersione nella storia. Ma cosa è la Ducea Nelson e quale la sua storia? A seguire una dettagliata quanto singolare cronaca dei posti, insieme a meravigliose foto fornite dallo stesso autore.
Per prendere contatti con l’Associazione culturale chiamare il numero 3497134706 o 3493991675 o visitare il sito www.duceadinelson.it


La Ducea di Nelson. Un progetto di turismo culturale a Bronte"
del
Dott. Placido Paladino

La Ducea Nelson si trovava a cavallo della grande trazzera reggia che per tutto il medioevo fu l'arteria più importante di penetrazione nell'interno dell'Isola, percorsa da Re e Imperatori, da eserciti e torme di invasori. Per essa infatti penetrarono nel Valdemone gli Arabi. Su di essa si svolsero le prime battaglie dei conquistatori Normanni e per essa si avventurava, dopo aver fatto testamento, il viaggiatore che voleva raggiungere Palermo.Non è facile penetrare nel mistero della sua storia. Un primo eco storico fu certamente lo straordinario avvenimento bellico del 1040, quando un generale bizantino, il protospatario Giorgio Maniace, affrontò in questa valle un esercito arabo di 50 mila soldati e lo sconfisse, facendo scorrere tanto sangue nelle acque di quel torrente che da allora si chiamò "Saracena". Ma il villaggio esisteva già da tanti secoli, come ci rivelano i reperti archeologici venuti alla luce sotto la zappa del lavoratore della terra. Diverse sono in questo senso le testimonianze che attestano la presenza di antichi popoli nel territorio che in futuro diverrà la Ducea dei Nelson. Le tombe ”a grotticella” che si trovano ai piedi della Rocca Calanna in contrada Difesa a Bronte ad esempio, probabilmente segno tangibile della presenza dei siculi. Oppure le Tombe dei giganti vicino al castello Nelson. Le violente eruzioni dell’Etna che più volte nel corso dei millenni hanno devastato questo territorio, hanno celato probabilmente buona parte delle testimonianze di civiltà preistoriche e protostoriche. Le fonti antiche parlano poi di una città sicula, Alesa, di cui in verità non si conosce l’esatta ubicazione. Alcuni storici, considerando le campagne militari di Gerone II contro i Mamertini nel III sec. a.C., e gli scontri che videro contrapposti durante le guerre civili Sesto Pompeo ed Ottaviano, pensano che Alesa si trovasse nel territorio compreso tra gli odierni comuni di Bronte e Maletto. In questo senso può essere d’aiuto anche la toponomastica, visto che all’ uscita del paese del pistacchio, lungo la strada che porta a Maniace, c’è una contrada che si chiama Villaleta. Sempre considerando la toponomastica, si sa dallo storico arabo Edrisi, che Maniace era chiamata “Ghiran-ad-Daquiq”, ossia “Grotte della Farina”. Alesa etimologicamente deriva dal verbo greco aleo, macinare, ed anche in questo caso il collegamento sembra possibilissimo. La contrada Erranteria dove oggi sorge il Castello Nelson, è una zona occupata con continuità storica da secoli. Si è già detto delle vicine “Tombe dei Giganti”, ma non mancano successivi segni di frequentazione del sito. I mosaici policromi del IV secolo trovati casualmente in un podere vicino al castello, o le tombe cristiano bizantine dirimpetto a questo, ne sono la testimonianza. C’è chi paventa, considerando la struttura della residenza dei Nelson, che questa sia stata costruita su di un antico Castrum romano. Con i normanni si hanno testimonianze certamente più dirette della loro presenza. Basta pensare alla stessa fondazione dell’abbazia benedettina, ma non solo. Come non citare i due ponti che collegavano questo territorio con Troina. Questi si trovano uno in prossimità del comune d’Adrano ( noto come ponte Saraceno), e l’altro in contrada Serravalle a Bronte. Questi ponti che collegavano il territorio a Troina come si è già detto, avevano il crocevia più importante nella valle di Bolo. Qui sorgevano imponenti a dominare la vallata i castelli di Bolo e Torremuzza, da dove i soldati normanni controllavano il passaggio d’eserciti, pellegrini e mercanti. Testimonianze queste tirate con le unghie e con i denti dai labirinti della storia, che rendono comunque l’ idea di come si presentava il territorio prima della fondazione dell’ eremo benedettino di Santa Maria di Maniace. Notizia che getta un po' di luce nella storia delle origini è che sulle sponde del torrente, che lambisce l'attuale Castello, sorgeva una vecchia grangia (fattoria rurale monastica) basiliana dipendente dal Monastero di S. Filippo di Fragalà da tempo immemorabile, e che, a presidio della trazzera regia, vi era un fortilizio che faceva parte del sistema di difesa di questo percorso tra i più importanti dell'Isola, in collegamento visivo con il Castello di Bolo che dall'alto vigilava come un nume tutelare. La Regina Margherita, moglie di Guglielmo il Malo, spinta, come affermano gli storici, dalla sua pietà verso la Madonna che in quel posto solitario maternamente regnava, volle creare un cenobio benedettino come testimonianza della sua filiale devozione (1173). E così, proprio a lato della Torre di Guardia, sfiorata dalle acque del Saracena, a ripopolare quella vasta e profonda vallata tra le pendici dell'Etna e i Monti Nebrodi, sorse il grosso fabbricato a lode di Dio e della Madonna, a profitto dei villici e dei pellegrini che in esso avrebbero trovato assistenza e difesa. Il cenobio ebbe, lungo la sua esistenza, vicende fortunose e pur nella sua vita indipendente, ebbe a subire i disagi, le vessazioni e gli umori dei vari dominatori che si succedettero nel Regno di Sicilia. Nel 1285, scoppiato il Vespro siciliano, i monaci di Maniace guidati dall’abate Guglielmo il Buono, per ordine del papa dovettero appoggiare gli angioini. Ma per loro sfortuna gli aragonesi alla lunga ebbero la meglio, e da quel momento in poi, lentamente, l’indipendenza, le fortune ed il prestigio dell’eremo iniziarono a scemare. Ma ecco nel 1491 un altro cambiamento radicale per il Monastero: con bolla papale di Innocenzo VIII, cui era stato ceduto dal Card. Borgia, il detto Monastero fu aggregato all'Ospedale Grande Nuovo di Palermo. Dopo tale cessione, per quanto l'Ospedale avesse avuto imposto l'obbligo di non fare decadere il culto e la vita religiosa in esso, con l'impegno di erogare ai monaci ivi residenti la somma di 185 onze all'anno, il Monastero decadde rovinosamente nelle fabbriche e nella disciplina religiosa a tal punto che nel giro di tre secoli fu affidato dal sopraddetto commendatario Ospedale Grande Nuovo per ben undici volte a diverse famiglie religiose. Nel 1585, andati via i Benedettini, subentrarono i Basiliani ai quali successero, pochi anni dopo, i Frati Eremiti di S.Agostino che, appena qualche anno dopo, furono sostituiti daiFrati Conventuali di S. Francesco (1589) e così, per anni ed anni, si susseguirono, a gestire il glorioso Monastero, una lunga serie di famiglie religiose che curarono il culto ma che non ebbero né pace ne’ duratura permanenza. Non mancarono specie nel seicento, le rivolte dei contadini oppressi dal giogo feudale dell’Ospedale grande e nuovo di Palermo, in un secolo caratterizzato tra l’altro dalla profonda crisi dell’impero spagnolo, di cui la Sicilia faceva parte. Nel 1799 un avvenimento di notevole portata storica aveva trasformato l'esistenza del glorioso Monastero e di tutto il suo immenso patrimonio terriero che misurava ben 9 mila ettari: il Re Ferdinando III di Sicilia, riconoscente per l'aiuto ricevuto dall'Ammiraglio inglese Orazio Nelson, in occasione della rivoluzione di Napoli (1799) che aveva messo in pericolo il trono dei Borboni, con decreto del 1799, avvalendosi degli usurpati poteri della "Regia Legazia” gli regalò le proprietà terriere e il Monastero, creandolo Duca di Bronte, con poteri feudali sul sopraddetto paese. Con questo decreto cessò del tutto la funzione del Monastero e i discendenti del Nelson, nella linea collaterale degli Hood-Bridport, giacché egli non ebbe eredi diretti, da tale data gestirono come proprietà privata tutta la ducea. I frati avevano già restaurato le fabbriche e la Chiesa nella parte salvata dal sisma, ma trasferitisi a Bronte, fondarono colà , il monastero di San Blandano che, durò fino al 1886. I nuovi proprietari del vecchio Monastero non si limitarono ad amministrare la grande estensione terriera, ma ebbero per tutto il sec. XIX grande influenza sugli avvenimenti politici ed amministrativi del Comune di Bronte, vantando su di esso diritti feudali, solo nominalmente cessati con la Costituzione del 1812, ma praticamente perdurati per tutto il secolo passato ed oltre. Furono infatti parte interessata nei famigerati casi dell'eccidio di Bronte operato dal generale Nino Bixio nel 1860, inviato da Garibaldi a sedare la rivoluzione sfociata in un bagno di sangue. I fortunati discendenti di Nelson, fin dal principio del secolo passato, annualmente venivano ad abitare, per alcuni mesi, nel vecchio Monastero, ristrutturato nella parte residenziale in una sontuosa dimora fornita di tutte le comodità. Una folla d’impiegati, contadini, affittuari, personale di servizio e dell'amministrazione, popolò il vecchio cenobio benedettino che nella fronte, a rivelare la presenza del grande nuovo signore, si ornava della bandiera italiana affiancata all'inglese. Cosi là si svolse la vita per un secolo e mezzo. Penultima avventura della vasta plaga fu l'esproprio da parte del Governo Italiano, in occasione dell'ultimo conflitto bellico e l'assegnazione dell'immensa proprietà all'Ente Riforma Agraria che vi costruì, ai lati del Castello, il "Villaggio Caracciolo” in ricordo della più illustre vittima della rivoluzione napoletana, impiccato all'albero maestro della sua nave da Orazio Nelson. L'Ente quotizzò tutta la proprietà e la popolò di case coloniche modernamente e razionalmente attrezzate con silos, stalle, magazzini e abitazione. Ma l'Italia perdette la guerra e la proprietà fu rivendicata dai vecchi proprietari che abbatterono il “Villaggio Caracciolo", cacciarono i coloni e restaurarono i loro diritti e la loro maniera di amministrare. Un avvenimento di questi ultimi anni ha fatto vivere al vecchio Monastero l'ultima fase della sua storia: l'ultimo erede, da buon seguace delle teorie moderne, vende ogni cosa, proprietà terriere e fabbricato, capitalizzando la somma di cinque miliardi. Prelevatore privilegiato e fortunato è stata l'Amministrazione Comunale di Bronte che è riuscita ad assicurarsi la proprietà del fabbricato e di 17 e più ettari di terreno vicino (1981) con l'intento di fare di esso un luogo turistico e di cultura di alto interesse e di prestigio.

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