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Flavio R.G. Mela

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Storia. L’Epigrafe della Biblioteca di Piazza: un antico baluardo della cultura del Prof. G. Masuzzo

Nei primi anni del XVII secolo a Piazza Armerina, allora Platia (in qualche documento, anche Platea), esistevano ben quattordici tra Monasteri, Conventi, Case Professe e Commende degli Ospedalieri maschili, e sette tra Monasteri, Conventi e Ritiri femminili. La popolazione della città era di oltre 16.000 abitanti (rivelo del 1593) e tra questi c’erano un marchese, quattro conti e trentotto baroni. Inoltre, 100 circa erano i sacerdoti, che officiavano nelle quasi cento chiese presenti nel territorio intra moenia ed extra moenia (93 nella relazione “ad limina” del 1655). La conferma dell’alto prestigio della comunità piazzese di allora arrivò col titolo di Spettabile(1), concesso nel 1612 da re Filippo III d’Asburgo, ovviamente dietro il pagamento di 10.000 scudi dalla Giurazia(2). Dato che uno scudo di allora valeva all’incirca 72 € di oggi, per quell’enorme cifra il re, insieme al titolo, concesse la possibilità di amministrare oltre la giustizia civile anche quella penale (mero e misto imperio) attraverso il Tribunale dei Tre Giudici. Da questo quadro di quattro secoli fa si deduce che la prosperità economica era prerogativa dei numerosi nobili, mentre ogni attività culturale era monopolio ecclesiastico e in particolare del monachesimo. Questa situazione consolidava sempre più la consuetudine dei monasteri e dei conventi di essere importanti centri di diffusione culturale, in cui il libro occupava un posto di primo piano. Infatti, “Nella Regola di San Benedetto era prescritto l'obbligo della lettura in vari momenti della vita del convento; il monaco aveva fra le mani il libro nel coro, al refettorio, nella cella, compagno fedele della giornata. Fin dai primi tempi della fondazione delle abbazie era prevista la presenza di una biblioteca. Era scritto: Claustrum sine armario sicut castrum sine armamentario (un monastero senza biblioteca è come una fortezza senza armeria). Collegato alla biblioteca era lo scriptorium, dove si svolgeva il lavoro di copiatura e di miniatura dei manoscritti da parte dei monaci amanuensi: con la loro attività di trascrizione dei codici, furono il più importante strumento di conservazione del patrimonio culturale della classicità.”(3)
I monasteri e i conventi di Platia non facevano eccezione e custodivano nelle loro biblioteche oltre alle centinaia di manoscritti e testi del ‘300, anche numerosi documenti stampati con la tecnologia dei caratteri mobili, chiamati incunaboli, della seconda metà del ‘400 (quattrocentine) e del ‘500 (cinquecentine). Le opere trattavano temi che spaziavano dalle scienze teologiche alla filosofia, al diritto, alla grammatica, alla medicina e alla storia.
Ovviamente queste case di religiosi erano esposte di continuo a incendi, saccheggi, o più semplicemente a furti che decimavano il patrimonio librario e, come se ciò non bastasse, l’umidità, i topi e, alcune volte, il dare alle fiamme il materiale contenuto nelle celle dei monaci, morti durante le soventi epidemie, riducevano in poltiglia o in cenere migliaia di preziosi volumi, alcuni addirittura pezzi unici.
Se per le calamità naturali c’era poco da fare, per quelle dovute all’incuria e alla negligenza dell’essere umano, oltre ai semplici avvisi scolpiti sopra gli ingressi(4), venivano escogitate misure di vario genere, sempre più perentorie, e una di queste erano le “bolle pontificie” o “bolle papali”. Queste erano delle comunicazioni ufficiali in forma scritta, emanate dalla Curia Romana col sigillo del Papa. Il sigillo era un pendente metallico (in latino bulle, il cui termine è poi passato a indicare l’intero documento) generalmente di piombo, ma in occasioni molto solenni d’oro, e veniva legato mediante cordicelle di canapa annodate praticando dei fori nei documenti(5). Questi essendo in pergamena non potevano essere esposti per molto tempo, pertanto venivano riportati in riassunto (compendium) scolpiti su delle lapidi di marmo, da murare in ben evidenza, nei luoghi per i quali era stata emanata la Bolla.
Una lapide su cui è scolpita l’epigrafe di una Bolla Papale, del genere sopra descritto, l’abbiamo a Piazza, alla Biblioteca Comunale intitolata ai fratelli Alceste e Remigio Roccella(6). L’epigrafe in latino è murata nella cornice in pietra arenaria posta sulla porta dell’ex Sala del Coro del Collegio dei Gesuiti, in seguito anche Oratorio della Confraternita dei Nobili, e sormontata da quello che doveva essere lo stemma dell’Ordine dei Gesuiti, ormai completamente logoro. La lapide di marmo che è situata a 4 metri d’altezza e misura cm. 55x110, prima di essere definitivamente murata durante gli ultimi restauri, era fissata soltanto da cinque rampini di ferro, ancora visibili, dal 1876, anno di nascita della biblioteca. La sistemazione a quell’altezza, le dimensioni e l’eccessivo accostamento delle lettere incise su diciassette righe, molte per uno spazio così esiguo, da un lato l’hanno preservata per circa 140 anni, dall’altro lato non hanno facilitato la traduzione del testo in latino che, per le numerose abbreviazioni, sarebbe comunque stata enigmatica anche per i più curiosi e ostinati competenti. Diverse volte ero stato attratto da quella scritta. Prima di sfuggita, considerandola solo una comune lastra di marmo bianco, poi come un piccolo particolare delle tante foto del chiostro, poi per lo studio della storia del Collegio, ma per tutti i motivi sopra elencati avevo sempre rinunciato a occuparmene. Sino a quando la tecnologia, con l’acquisto di una nuova e più potente macchina fotografica, la disponibilità di più tempo libero perché da qualche mese in pensione, la curiosità e la passione per la storia del mio paese, sono venute a contatto con due persone veramente speciali. A questi due amici, uno conosciuto per caso mentre approfondiva le notizie sugli Starrabba, fondatori del suo paese, Pachino, l’altra, cugina del primo e consultata dal medesimo, appena ho chiesto il loro aiuto per la traduzione, per me impossibile, si sono generosamente prodigati a tal punto da venirne a capo dopo averle dedicato non poco del loro tempo. Ovviamente, per facilitare il loro arduo compito, ho dovuto inviare loro, a più riprese, diverse foto sempre più particolareggiate, insieme alla storia dei monasteri piazzesi, in particolar modo francescani, dai quali sono arrivati i volumi raccolti nella biblioteca, per chiarire il contesto in cui s’inseriva la Bolla Pontificia. Ebbene, dopo qualche settimana finalmente è arrivata la sotto riportata traduzione:
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COMPENDIO DELLA BOLLA
IL PONTEFICE PAPA PAOLO V AI FRATI MINORI RIFORMATI
Dal momento che, così come espose a Noi, da recente, il diletto figlio Bernardino de Randazzo, riformatore dell’Ordine dei Frati Minori Osservanti, del Regno di Sicilia, le biblioteche di Piazza, nei conventi di San Pietro e di Santa Maria di Gesù, dei frati del medesimo Ordine, fornite di varii libri ad uso e prestito degli stessi frati, vengono saccheggiate, ben disposti alle suppliche, presentate a Noi umilmente, in nome del citato Bernardino, di provvedere alla conservazione dei medesimi libri, affinché in seguito, coloro i quali, servendosi di qualsivoglia autorità, sotto qualsivoglia pretesto o ricercato motivo, e per qualsiasi causa, ragione o occasione, osino o presumano di sottrarre, dalle menzionate biblioteche, libri, quinterni, fogli, sia stampati sia manoscritti, donati e assegnati, fino ad oggi, alle suddette biblioteche, sia quelli che in futuro probabilmente si dovranno donare e assegnare oppure coloro i quali (osino o presumano) di prestarli ad altre persone, anche se abbiano intenzione di restituire in un secondo momento i medesimi libri oppure (osino o presumano) di consentire che vengano sottratti e vengano prestati, in virtù della (Nostra) autorità apostolica, secondo il tenore delle norme vigenti, Noi proibiamo e vietiamo (ciò), sotto pena di scomunica e di privazione della voce attiva e passiva.
Date a Roma presso Santa Maria Maggiore, sigillate con l’anello del pescatore il giorno 20 novembre 1618 nel XIV anno del Nostro pontificato.
Sigillo del Cardinale di Santa Susanna
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Dopo le lamentele presentate a Roma dal frate francescano osservante-riformato Bernardino de Randazzo(7), il pontefice Papa Paolo V, nato Camillo Borghese (1552–1621, papa dal 1605), decise di emanare la suddetta Bolla, da affiggere probabilmente presso la biblioteca del convento di S. Pietro(8) dei Frati Minori Riformati(9), essendo questo più prossimo al paese e quindi molto più frequentato dell’altro, per regolare, avvisare e ammonire, una volta per tutte, coloro i quali avessero avuto relazioni, per qualsiasi motivo, con i libri presenti nelle biblioteche dei due conventi(10). La Santa Sede , consapevole dell’assoluto valore di quel patrimonio manoscritto e librario, venuta a conoscenza dei pericoli di “saccheggio” che potevano abbattersi su quei gioielli della cultura, vietava a chiunque, la sottrazione e il prestito, di tutti i volumi, anche di quelli che sarebbero stati acquisiti in futuro. L’ammonizione valeva anche per chi stava ai livelli più alti nella scala dell’autorità ecclesiastica (provinciali, abati, priori) che non avrebbe controllato, per negligenza, gli eventuali abusi. Per indurre ad un più responsabile utilizzo dei libri il Pontefice, attraverso il suo cardinale bibliotecario, intimava la più grave delle pene che possa essere comminata a un battezzato: la scomunica, che lo escludeva dalla “comunione dei fedeli” privandolo di tutti i diritti e i benefici derivanti dall’appartenenza alla Chiesa, in particolare quello di amministrare e ricevere i sacramenti. E come se questo non bastasse, il trasgressore sarebbe stato privato della voce attiva e passiva, perdendo così il diritto di essere elettore o eleggibile nelle assemblee (capitoli) di religiosi di cui faceva parte(11). La Bolla si chiudeva con le disposizioni di consegna, subito dopo era indicato il luogo di emissione, la Basilica di Santa Maria Maggiore, una delle quattro basiliche papali di Roma. Seguiva specificando il tipo di sigillo papale applicato: l’anello del pescatore, cioè l’anello fabbricato in oro esclusivamente per quel pontefice, del quale riportava il nome inciso intorno a un bassorilievo di San Pietro che pesca da una barca, perché il suo mestiere era il “pescatore”. Poi la data (20 Nov. 1618), l’anno del pontificato (XIV) e per finire un altro sigillo, quello di un cardinale. Ma questi non veniva indicato col vero nome, bensì col titolo cardinalizio ricevuto al momento della nomina, Cardinale di Santa Susanna. Quest’ultima é una delle chiese più antiche di Roma ed è diventata, dal 112 d.C. con Papa Evaristo, un titolo concesso a un cardinale, ovvero il suo nome e le sue proprietà vengono legati a un cardinale al momento della sua creazione, sino alla sua morte. Alla data del documento pontificio in questione, il Cardinale di Santa Susanna(12) era il viterbese, dal 1615 custode dell’Archivio di Castel Sant’Angelo, Scipione Cobelluzzi (1564-1626) che, nel febbraio 1618, era stato nominato da Papa Paolo V, Cardinale Bibliotecario.
Questa indagine accurata su un “pezzo di marmo bianco” scolpito quattro secoli fa, trascurato da tante generazioni di Piazzesi e collocato da un secolo e mezzo in uno degli edifici più importanti della città, ci deve far riflettere su quanto siamo consapevoli di quello che ci hanno lasciato nei secoli i nostri antenati e di quanti di questi pezzi di marmo, distribuiti per il paese, conosciamo i motivi per i quali sono stati incisi e che hanno visto come incisori i nostri trisavoli. Checché se ne dica, dobbiamo renderci conto che noi siamo il risultato di quello che erano i nostri progenitori, e che i nostri discendenti saranno il risultato di quello che siamo noi. Per questo non dobbiamo trascurare la nostra storia, perché senza memoria non avremo un futuro.

Prof. Gaetano Masuzzo

Si ringraziano la prof.ssa Carmela La Bruna di Catania e il prof. Antonello Capodicasa di Portopalo di Capo Passero, che mi hanno aiutato in maniera determinante nella traduzione dell’epigrafe.

Note

(1) Dopo quelli di Città Militare del 1148, Deliziosa del 1234 e Civitas Opulentissima del 1517.
(2) Corte Giuratoria o Amministratori Comunali.
(3) In “I luoghi delle Memoria Scritta, Le Biblioteche Italiane fra Tutela e Fruizione”.
(4) Fino a non molti anni fa era ancora possibile leggere sopra la porta d'ingresso della biblioteca dell'abbazia di Casamari (in territorio del comune di Veroli, prov. Frosinone) questa iscrizione: “Avvertenza: per tutti quelli che estraggono o trafugano libri spettanti a questo Ven. Monastero senza licenza dei superiori, v'è la scomunica da incorrersi ipso facto”.
(5) Dal tardo XVIII secolo il sigillo di piombo fu sostituito da un timbro di inchiostro rosso dei Santi Pietro e Paolo con il nome del papa regnante circondante l’immagine.
(6) Alceste, avvocato, patriota e grande cultore della storia di Piazza, 1830-1907 (Villari, 1995, p. 83) o 1827-1908 (in un quadro esposto in Municipio). Remigio, notaio, sindaco della città e poeta in lingua dialettale, 1829-1916.
(7) A proposito del “diletto figlio Bernardino de Randazzo, riformatore dell’Ordine dei Frati Minori Osservanti, del Regno di Sicilia,” in tutti i libri in mio possesso è riportato, in un atto amministrativo del 1655, solamente un fra Bernardino da Piazza, ma dei Frati Minori Conventuali, non degli Osservanti (Villari, Storia Ec., 1988/1989, p. 230).
(8) In Villari, 1988/1989, p. 253.
(9) I Frati Minori Riformati erano sempre Frati Francescani della regola dell’Osservanza ma che, con la Bolla Papale del 1532, avevano ottenuto il diritto di ritirarsi in conventi per osservare la “Regola” in maniera ancora più rigorosa.
(10) Il convento di S. Maria di Gesù fu fondato nel 1418 dal beato frate francescano osservante Matteo De Gallo di Agrigento, poi vescovo di Agrigento, e ben presto divenne Seminario di Santità, nel 1622 anche Seminario di Dottrina degli Osservanti Riformati. Quello di S. Pietro fu fondato nel 1502 dal frate francescano laico (ovvero del Terzo Ordine Secolare) Ludovico da Caltagirone.
(11) Da qui l’espressione dell’uso corrente avere (o non avere) voce in capitolo, avere autorità, facoltà di intervenire in decisioni, di fare sentire il proprio parere. Nel mondo ecclesiastico: durante “i capitoli” o le riunioni dei monaci o dei frati della congregazione religiosa.
(12) Fu nominato Cardinale il 19 Settembre 1616, mentre il titolo di Santa Susanna gli fu dato un mese dopo, il 17 Ottobre 1616.

Bibliografia
- Archivio Segreto Vaticano:
http://www.archiviosegretovaticano.va/scipione-cobelluzzi-1618-1626.
- Biblioteche Ecclesiastiche in “I luoghi delle Memoria Scritta, Le Biblioteche Italiane fra Tutela e Fruizione”: http://www.parodos.it/news/biblioteche.htm.
- Di Rosa Placa A. - Muscarà M., La chiesa di San Pietro Pantheon di Piazza Armerina, Ed. Lussografica, Caltanissetta, 1999.
- L’Enciclopedia Libera: http://it.wikipedia.org.
- Villari L., Storia di Piazza Armerina, Ed. Penne & Papiri, Latina, 1995.
- Villari L., Storia della Città di Piazza Armerina, Ed. La Tribuna , Piacenza, 1981.
- Villari L., Storia Ecclesiastica della Città di Piazza Armerina, Società Messinese di Storia Patria, Messina, 1988/1989.

Foto
Masuzzo Gaetano




3 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Tanino,

la tua ricostruzione della vicenda e la trascrizione della lapide rappresentano un significativo arricchimento di conoscenze della storia della nostra città.

Però fammi una cortesia: non chiamarla mai 'paese'.

Complimenti

Carmelo

Enzo La Vaccara ha detto...

"senza memoria non avremo un futuro"
Continua così Gaetano, grazie al tuo lavoro la memoria di quello che fu Piazza non si perderà servendo come base per il rilancio culturale e turistico del nostro paese. Enzo La Vaccara.

Anonimo ha detto...

Veramente un lavoro encomiabile di un ricercatore che finalmente ci restituisce notizie sepolte nei secoli. Grazie a nome di tutti gli intenditori. Speriamo che questa voglia di ricerca, come un vero e proprio "Veltro", non si esaurisca nel prof. Masuzzo. Grazie ancora prof.
Un appassionato di storia siciliana e piazzese in particolare