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Flavio R.G. Mela

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Storia di una aristocrazia: la Sicilia dei latifondi nel IV secolo d.C.

Ingresso monumentale della Villa Romana del Casale
Ogni bene culturale non si può considerare un'isola, capace di essere compreso a prescindere dall' "ecostistema" storico  in cui si ritrova. Le logiche della sua creazione nascono da 'meccanismi' e reazioni sociali e culturali che hanno caratterizzato un periodo passato. Non approfondire queste, significa avere una visione approssimativa di qualsiasi bene a cui ci si voglia avvicinare, senza tuttavia essere in grado di capire la logica del suo "perchè"

Uno dei beni culturali più conosciuti del centro Sicilia è indubbiamente la Villa Romana del Casale, le cui decorazioni musive del periodo tardoantico hanno richiamato l'attenzione dell'UNESCO, che nel 1997 la dichiarò patrimonio mondiale dell'umanità. Migliaia di turisti ogni anno varcano i cancelli del sito archeologico, attirati dalla preziosità e unicità di questa fastosa residenza, memoria storica e conseguenza diretta di una rivoluzione sociale del IV secolo d.C., che coinvolse l'intera Sicilia. 
Agli inizi del IV secolo, la Sicilia rurale entrò in un periodo di prosperità, con gli insediamenti commerciali e i villaggi agricoli che sembrarono raggiungere l’apice della loro espansione e della loro attività. Tracce di attività costruttive restano nelle località di Filosofiana (Comune di Mazzarino), Sciacca, Punta Secca, Naxos ed altrove. Un evidente segnale di trasformazione è costituito dal nuovo titolo assegnato al governatore dell’isola, da ‘corrector’ a ‘consularis’, intorno all’anno 330. Le motivazioni sembrano essere duplici: anzitutto la rinnovata importanza delle province di Africa proconsolare e di Tripolitania per i rifornimenti di grano verso l'Italia, mentre la produzione egiziana, che aveva fino ad allora sopperito alle necessità di Roma, venne convogliata a Costantinopoli, dal 330 nuova capitale imperiale. La Sicilia assunse di conseguenza un ruolo centrale sulle nuove rotte commerciali fra i due continenti. Infatti questa nuova situazione è da introdurre nell’interesse generale che ha Roma per quelle province occidentali che anni addietro avevano il primato per la produttività, ovvero quelle della costa settentrionale dell’Africa. Soprattutto in età costantiniana, l’Africa divenne il granaio del grande ventre dell’Impero romano, facendo della Sicilia una sorta di ponte tra i due continenti. In secondo luogo i ceti più abbienti, di rango equestre e senatorio cominciarono ad abbandonare la vita urbana ritirandosi nei propri possedimenti in campagna. I ‘clarissimi’, ovvero i senatori, iniziano così a frequentare l’isola e a sfruttarla in modo più congruo. Interessi che facevano breccia nella dimensione agricola, dominata ormai non solo dalla proprietà assenteistica imperiale e senatoria, ma anche dalla proprietà più interessata delle maggiori famiglie dell’alta aristocrazia romana (i Valerii, Aurelii, Nicomachi, Symmachi). Queste ultime non si curano solamente dell’ozio filosofico e della vita di lusso, ma certo anche dell’amministrazione dei loro nuovi latifondi, gestiti ormai non da “truppe” di schiavi ma dal sistema produttivo della colonia. Termina infatti il sistema schiavistico romano. Il Carandini sostiene che il sistema del ‘colonato’ fu utilizzato inizialmente e con buoni successi in Africa. Questo porterebbe alla conclusione che il sistema fu introdotto, in Sicilia, da quei proprietari che avevano recepito dei vantaggi per la loro diretta esperienza nelle terre d’oltre mare africane. All’interno della realtà fondiaria privata si innesca la nascita di estesi aggregati di fondi suddivisi in porzioni minori che rappresentano le vere cellule produttive del latifondo a cui contribuisce notevolmente una forza lavoro costituita principalmente da coloni ovvero contadini liberi o fittavoli dei ‘possessores’, di solito palesemente poveri. La classe senatoria trovò terreno fertile in una struttura già consolidata da tempo, approfittando anche della sua forza per creare strati più deboli della popolazione rurale sottoposti a tassazione straordinaria in seguito alla crisi politico-militare del’impero.

Nel mosaico del Dominus Julius, conservato al Museo del Bardo a Tunisi, risalente al IV sec. d.C., è raffigurata la residenza dell'aristocratico romano, ritratto in basso a destra, seduto su uno scranno. Oltre alla domina, posta nella parte centrale del primo registro in alto e in basso a sinistra, il mosaico raccoglie una serie di iconografie che descrivono quali attività si svolgevano nelle residenze private dei grandi 'possessores'. (Immagine da M’Hamed H. Fantar, I mosaici romani di Tunisia1995)
Legato al ‘colonato’, D. Vera associa il fenomeno del brigantaggio segnalato da Gallieno intorno al 258 e 261. La causa di questo ostile fenomeno è da ricondurre probabilmente alla crisi del sistema servile del latifondo.
Dietro il brigantaggio è da cercarsi una sorta di malcontento che colpì non solo gli schiavi ma anche ampi strati di popolazione contadina schiacciata sia dall’inserimento di grossi capitali nell’isola, come potevano essere quelli senatori, o dalle pressanti quanto straordinarie esazioni di grano da parte del governo per la necessità di Roma e dell’ ‘annona militaris’. La vita di entrambe le realtà, il latifondo senatorio e il brigantaggio, ha avuto lo stesso tempo di crescita. I senatori infatti non potevano non espandersi nella provincia sacrificando i ‘possessores’ più esposti come curiali locali o contadini proprietari. Il sistema del colonato nasceva dalla scarsa ormai affluenza di manodopera servile, causato dalla mancanza di acquisizione di nuove terre. Inizialmente e più pubblicamente, il sistema fu utilizzato dal potere centrale affidando terre imperiali a coloni, di origine e condizione libera, disponibili soprattutto in città, o coloni casati, con abitazione e famiglia propria. Con l’andare del tempo, queste famiglie, che dovevano una tassa d’affitto quinquennale, passarono a gente legata al fondo e partecipe dello strumento concettuale-guridico della ‘origo’ ovvero il legame ereditario della famiglia nobile con la patria d’origine e possesso gestionale di attività di patronato a favore delle comunità provinciali. Un esempio è costituito dagli Aradii che vantarono due consoli sotto i Severi. E’ possibile che, mentre gli ARADII ROSCII fossero rimasti in Africa, gli ‘Aradii Rufinii’, entrati nell’èlite senatoria, si fossero trasferiti a Roma pur mantenendo interessi terrieri nel Maghreb. Ma al di là del nuovo interessamento per la Sicilia di carattere “imprenditoriale”, furono anche altre cause a scatenare la mobilitazione della casta senatoria o comunque delle grandi famiglie romane verso l’isola. Intanto, tra il II e il III secolo d.C., un estraniamento progressivo dell’antica ‘nobilitas’ romana dalla gestione del potere, ovvero dalla burocrazia imperiale e dai quadri dell’esercito, da ora affidati a funzionari. In secondo luogo, un inasprimento delle imposte sulla classe più abbiente come quella senatoria da parte dell’impero da Ottaviano in poi.
Villa marittima, tipica del periodo tardoantico, 
rappresentata nei mosaici della Villa Romana del Casale
A questo quadro è da aggiungere una “arrugginita” cornice che dà decorazione al rapporto tra ‘possessores’ e governo centrale. Un contrasto che approfondì la “diaspora” delle ‘gentes’ romane nei propri latifondi. In primo, per il versamento delle imposte, i ‘saltus’ tendevano a fuggire agli uffici esattoriali delle ‘curiae’, cioè delle città entro il cui territorio essi materialmente ricadevano. E almeno una volta l’anno, era il governatore provinciale a riscuotere, cosa che fa intendere che ci possano essere stati situazioni di intesa e collusione tra i ‘possessores’ e i governatori stessi. Non si spiegherebbe infatti la legge dell’agosto 396 del Codice Teodosiano (C. Th. 6, 3, 3) che informava il prefetto urbano che “nessuna exactio debba accumunare terre curiali e possedimenti delle clarissimae domus, e che ciò dovevano prendere nota i defensores senatus” (funzionari “sindacali” dei proprietari terrieri istituiti per le vertenze con l’amministrazione cittadine e con il fisco). Nel 397 (C. Th. 6, 3, 4), questa stessa regola fu annullata, poiché ben presto le tasse pagate dai senatori si ridusse a poco più che la metà, quindi era preferibile far riscuotere le tasse nuovamente alle curie cittadine.
Inoltre è da considerare che almeno una volta nella loro vita, i ‘possessores’ erano obbligati a finanziare le edizioni ovvero i giochi romani del circo, dell’anfiteatro e del teatro. Compito della ‘cura ludorum’, per indicazione di Augusto nel 22 a.C., era della pretura. In tempi anteriori al III secolo, la pretura s’era vista ridimensionare le sue funzioni e soprattutto non era più posta sotto l’attenzione dagli imperatori come “vivaio” da cui attingere i futuri governatori provinciali, i comandanti dell’esercito e gli alti funzionari della burocrazia (cursus honorum). La nuova disposizione di Augusto aveva il duplice scopo di determinare, riducendola, la somma a carico dello Stato da mettere a disposizione del collegio dei pretori per i ludi e evitare che gli stessi pretori cercassero di superarsi per prodigalità di denaro sborsato di tasca propria per gli eventi ludici stessi.
L’alta aristocrazia senatoria vi ostentava ricchezza, prestigio e potere, nella volontà di distinguersi dall’aristocrazia romana minore, dalla burocrazia, dalle gerarchie militari e dall’aristocrazia provinciale. La nobiltà senatoria meno ricca cercava di sottrarsi a questi obblighi o di sottomettersi con minima spesa. Fra il 312 e il 320, probabilmente nel 315, Costantino rinnova le norme per l’organizzazione della pretura e dei relativi giochi. I due pretori (urbano e tutelare) venivano designati un anno prima, tenendo conto dei loro mezzi personali. Tale designazione spettava al senato, seguiva un rapporto del prefetto urbano, ma la scelta finale era riservata all’imperatore. I pretori dovevano essere presenti a Roma poco prima di entrare in carica per documentare lo stato delle loro sostanze ai ‘censuales’. Essi dovevano curare personalmente l’edizione dei giochi, anticipando le spese con denaro pubblico che in seguito il pretore era obbligato a rimborsare. Se il pretore moriva prima dei giochi, il peso finanziario ricadeva sugli eredi. La pretura veniva ricoperta tra i 20 e i 25 anni di età. Oltre ad allestire i giochi, il pretore doveva distribuire contornati alla plebe e dittici, cesti di argento e oro, vestiti di seta e altri doni all’imperatore e alla cerchia degli amici. Per chi si sottraeva a questo dovere era sancita una multa di 50.000 moggi di frumento per coloro che si fossero sottratti a questo dovere.
Infine Costantino che, come la storia insegna, fu artefice anche della “conversione” della politica religiosa dell’Impero. Dalla sua parte, l’aristocrazia, soprattutto quella occidentale, ponendosi come difensore delle tradizioni romane, pagane, fossero esse religiose o filosofiche, rigettò questa politica filo cristiana del regime. Tutto ciò non esclude il fatto che mancassero 'clarissimi' di prestigiose famiglie cristiane .
Testo a cura 
di Flavio Mela
Bibliografia

CALDERONE S., Contesto storico, committenza e cronologia, in La villa romana del Casale di Piazza Armerina. Atti della IV riunione scientifica della scuola di perfezionamento in archeologia classica dell’Università di Catania (Piazza Armerina, 28 settembre – 1 ottobre 1983), Palermo, 1988.

CARANDINI A., RICCI A., DE VOS M., Filosofiana – La Villa di Piazza Armerina, Palermo, S. F. Flaccovio Editore, 1982.

SFAMEMI C., Ville residenziali nell’Italia tardo antica, Bari, Edipuglia, 2006.

VERA D., Aristocrazia romana ed economie provinciali nell’Italia tardo antica: il caso siciliano, <<QC>>, a. X, 19, 1988.

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